Mostra Etnografica - 2010
Attraverso gli oggetti di uso quotidiano che si trovavano nelle nostre case fino agli anni ’50 del secolo scorso, tentiamo di far conoscere ai più giovani e ricordare ai meno giovani come si svolgeva o poteva svolgersi la vita nell’ambito familiare a quel tempo.
Festa di San Pietro (che si svolge sempre i due penultimi e ultimi sabato e domenica di giugno).
Iniziando dal mattino, ci si alzava dal letto, letto con “stramasso” (= materasso), fatto di “scartossi” (= involucri di granturco), o “pajon”, “pajarisso” (= pagliericcio).
D’inverno, visto che il riscaldamento centralizzato non era certo di tutte le case, si riscaldava il letto con la “munega” o scaldaletto o boccia di acqua calda (“bossa”) oppure un mattone riscaldato e avvolto in stracci (“quareo”), o anche con un sacchetto di cenere calda, prevalentemente usata per alleviare i dolori.
Altro letto più economico era fatto da due cavalletti trasversali con tavole longitudinali.
Per la toilette c’era il catino con la “zara” (=giara) e il sapone fatto in casa.
Poi si accendeva il fuoco, si scaldava il caffè nel brico, poi filtrato col “passin da cafè”; il caffè vero era solo una sciccheria, era quasi sempre orzo, frumento o altri surrogati come la miscela Leone o estratto di caffè. L’orzo e il frumento venivano tostati con l’apposita pala o altri attrezzi, poi macinati con macinino a mano.
Nel focolare, una volta caldo, col coperchio da “schissotto” si cuocevano le focacce. Nel caminetto la pietra frontale si chiama specchio, e quella orizzontale, dove brucia la legna e si formano le braci, si chiama “rolla”; le braci venivano spostate a lato e la “rolla” veniva pulita con lo “scoato” e vi veniva appoggiata la focaccia (o altro da cuocere), ricoperta col “quercio da schissotto”; il “quercio da schissotto”  veniva ricoperto nuovamente di braci e cenere a mo’ di forno.
Chi aveva la “cusina conomica”, che scalda di più, cucina meglio, consuma meno legna, poteva asciugare piccoli panni, ad esempio “fasse e panesei” (= fasce e panni per neonati).
Poi tutto l’armamentario da cucina, gli attrezzi per il cucito, dall’uovo per rammendo alla macchina per cucire, dal corlo alla mulinella, il lavaggio, come il mastello, la “tola da lavare”, il cavalletto da appoggiare i panni tra il lavaggio e il risciacquo, il cesto bianco da bucato, la “liscia” per lavare.
Il fai da te oggi è un hobby, allora una necessità. In quasi tutte le case c’era qualche attrezzo tipico del falegname, quale la sega, la pialla e altro, del calzolaio (la forma di ferro, il martello, la “subbia” = lesina per riparare scarpe col “spago fato del canego e pegoea” = filo di canapa trattato con la pece). Si costruivano e riparavano le “sgalmare”, calzatura col fondo di legno come gli zoccoli, sopra la tomaia in cuoio anche riciclata da vecchi scarponi, poi chiodata la suola con brocche lisce o rigate, i tacchi con “broccuni”.
Poi attrezzi da fabbro, da contadino, ben poco dell’idraulico ed elettricista vista la mancanza di acquedotti ed elettricità.
Se in casa c’erano bambini, e ce n’erano spesso tanti, c’erano giocattoli fatti in casa, ad esempio il “moscolo”, trottola fatta girare con la “scuria”      (= frusta); c’era anche lo “s-ciocarolo”, cilindro cavo in legno ricavato dal sambuco, tappato alle due estremità con palline di stoppa ben masticate, poi con legno a mo’ di stantuffo appoggiato ad una pallina del cilindro e al proprio stomaco, si tira il cilindro verso di se’ con una strattone. La pressione esercitata all’interno del cilindro, lancia l’altra pallina con uno scoppio.
Altro giocattolo era il trattorino ricavato da un rocchetto in legno di filo per cucire.
La sera, svolti tutti i lavori domestici, prima o dopo il filò, era consuetudine andare al pozzo a prendere acqua per il giorno dopo, ma poteva succedere che il secchio si sganciava e cadeva nel pozzo e allora bisognava tentare di riprenderlo al mattino con la luce del giorno e l’apposito gancio da pozzo. Intanto non restava che dare “la buona notte al secchio”!
E chi questo stile di vita voleva cambiare, poche altre possibilità c’erano che prendere la valigia e, prima di partire, fare un salto all’osteria a salutare gli amici, e poi via “in serca dea fortuna”.

 

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